Peace Movement Aotearoa   |   Support for Peacemakers

Il Christian Peace Makers Team ovvero l’interposizione nonviolenta e la pace


8 December 2005

Era la fine di marzo 2003 e sul prato del potabilizzatore che serviva il quartiere Al Mansour e il relativo ospedale, il gruppetto anglosassone dei Christian Peace Makers aveva alzato uno striscione: "La convenzione di Ginevra proibisce di bombardare le infrastrutture civili, come gli acquedotti e i depuratori”. Insieme alla scritta, i corpi. Stuart, americano, era quello che dormiva più spesso là. Un’interposizione certo simbolica mentre le bombe fioccavano intorno. La presenza diurna e notturna alla centrale delle acque non si inquadrava nel progetto degli scudi umani sotto il cappello del governo iracheno; era una decisione autonoma ­ e autofinanziata - presa dal gruppo del CPT insieme ad altri pacifisti stranieri presenti, riuniti nell’Iraq Peace Team. Gli uni e gli altri avevano avviato mesi prima, all’inizio dei venti di guerra, una presenza stabile di attivisti a Baghdad: sostenevano il programma di ispezioni Onu come alternativa alla guerra; denunciavano l’embargo; cercavano di trasmettere negli Stati Uniti il vero volto del popolo iracheno.

Il CPT è un programma congiunto di alcune chiese nordamericane particolarmente impegnate per la pace nel mondo; in particolare quaccheri e mennoniti. Non si tratta di cooperanti ma di operatori di pace, attivi in Palestina, Iraq, Messico, Portorico, Centramerica e altre aree di conflitto (in precedenza Afghanistan, Cecenia, Bosnia).

All’arrivo a Baghdad delle truppe occupanti il gruppo dei CPT iniziò un lavoro certosino e da nessun altro compiuto di indagine e denuncia rispetto alle bombe a grappolo e agli altri ordigni lasciati inesplosi: che appunto regolarmente esplodevano (una delle maggiori esplosioni fu nel quartiere al Zafranyia il 27 aprile 2003) e uccidevano iracheni residenti o passanti, nel disinteresse della Coalizione. E poi, interviste su interviste agli iracheni, per far conoscere negli Usa ­ aiutati dai gruppi di sostegno in patria - una prospettiva diversa dell’occupazione. Per dare voce a loro anziché a se stessi, come spesso succede.

L’occupazione continuava e via via si inacerbiva. A partire dal giugno 2003 i CPT rispondono alle richieste e alle denunce di tante famiglie di detenuti iracheni e il focus della loro attività diventano le carceri: documentano gli abusi compiuti dalle forze della Coalizione, fanno da intermediari per la ricerca di scomparsi quanto per le visite in carcere dei familiari, lanciano con i gruppi d’appoggio in patria la campagna "Adotta un detenuto", sostengono attivisti iracheni per i diritti umani. A partire dall’ottobre 2004 il team riduce taglia e visibilità per via dei rapimenti di stranieri. Ma non lascia il paese: sono i compagni di lavoro iracheni a chiedere di restare, pur sapendo che così rischieranno di più anche loro. A partire dal gennaio 2005 e fino a oggi, il team del CPT è invitato a Kerbala per realizzare un training di formazione alla nonviolenza. Si legge sul sito del CPT (www.cpt.org) "gli amici di Kerbala hanno deciso di provare questi metodi anche in Iraq e, esplorando le radici della nonviolenza nel Corano, hanno creato un Muslim Peace Makers Team", composto da sciiti (la quasi totalità nell’area di Kerbala), il quale poco dopo è andato a incontrare i sunniti di Falluja, in segno di unità e fratellanza.

Unici stranieri a non vivere da privilegiati, a girare in taxi e perfino a piedi senza protezioni di autisti e vetri, a vivere in appartamenti e alberghetti qualunque, a condividere spazi e problemi con i cittadini del paese, quelli del CPT sembravano immuni dai rapimenti. Hanno osato troppo.

Marinella Correggia



Support for Peacemakers   |   Peace Movement Aotearoa